Lessico


Pierandrea Mattioli

incisione di Theodor de Bry (1528-1598)
da Bibliotheca chalcographica di Jean-Jacques Boissard - 1669

 

 

 

 


Biografia

Naturalista e medico (Siena 1500 - Trento 1577). Altre fonti danno rispettivamente 1501 e 1578. Nasce a Siena nel 1500 da Francesco Mattioli, medico, e da Lucrezia Buoninsegna. Si trasferisce col padre a Venezia e nel 1523 si laurea a Padova in medicina. Rientrato a Siena alla morte del padre, se ne allontana poco dopo a causa degli scontri tra le diverse fazioni, per recarsi a Perugia che lascia, dopo la specializzazione in chirurgia, per raggiungere Roma dove si ferma fino al 1527, anno del sacco.

Nel 1527 si sposta a Trento, divenendo medico personale del Principe Vescovo Bernardo di Clès. Al potente protettore dedica il trattato De morbo gallico e il poema in versi Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento, pubblicato nel 1539. Quest’opera costituisce un documento di grande importanza, perché fornisce preziose informazioni sul nuovo aspetto assunto dal Castello del Buonconsiglio dopo gli interventi architettonici voluti da Bernardo di Clès. Mattioli si trattiene in Trentino per circa un trentennio, durante il quale soggiorna soprattutto in Val di Non (in provincia di Trento, detta anche Valle Anania o Anaunia), nei dintorni di Trento e sul monte Baldo.

In queste zone di montagna ha modo di dedicarsi alla botanica, sua grande passione e di venire in contatto con conoscenze e tradizioni popolari che forniranno la base delle sue ricerche sulle proprietà terapeutiche delle piante.

Nel 1539, forse a seguito della morte del Principe Vescovo Bernardo, parte alla volta di Gorizia e, in seguito, di Praga. Nel 1544 pubblica a Venezia il suo lavoro di botanica Discorsi  redatto in italiano e nel 1554 pubblica sempre a Venezia, ma in latino, l’equivalente opera a carattere naturalistico e terapeutico che lo rese celebre: Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Medica Materia (Venetiis, apud Valgrisium, 1554) e che dominò il sapere botanico per due secoli, con 61 edizioni e con traduzione in 5 lingue.

La prima traduzione in italiano dei Commentarii vide anch’essa la luce a Venezia  nel 1557 ad opera di Valgrisi. Pierandrea Mattioli raggiunge l’apice della sua carriera nel 1555, quando Ferdinando I d’Austria lo chiama a corte come medico personale del suo secondogenito e rimane a servizio degli Asburgo (anche di Massimiliano II, primogenito di Ferdinando I e suo successore nel 1564)  fino al 1571, anno in cui decide di far ritorno a Trento, dove rimane fino alla morte nel 1577 dovuta alla peste e viene sepolto nella cattedrale di San Vigilio, dove gli viene eretto un sepolcro marmoreo che lo raffigura al suo tavolo da lavoro.

Per i suoi meriti Charles Plumier, valoroso botanico di Marsiglia (1646-1706), gli dedicò il genere Matthiola. La sua pietra tombale è conservata all’ingresso del Duomo di Trento. 

da www.buoncosiglio.it - con alcune modifiche e aggiunte

Pietro Andrea Mattioli

Pietro Andrea Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) è stato un umanista e medico italiano. Pietro (Pier) Andrea Mattioli (Matthioli) nasce a Siena nel 1501 (1500 ab incarnatione), ma passa la sua infanzia a Venezia, dove il padre, Francesco, esercita la professione di medico. Appena sufficientemente grande, il padre lo manda a Padova dove inizia a studiare varie materie, tipiche dell'epoca, come il latino, il greco antico, la retorica e la filosofia. Tuttavia Pietro Andrea si appassiona più che a tutte alla medicina, e proprio in questa materia si laurea nel 1523. Quando il padre muore, torna tuttavia a Siena ma la città è sconvolta da una faida tra famiglie rivali per cui decide di recarsi a Perugia per studiare chirurgia sotto il maestro Gregorio Caravita.

Da lì si trasferisce a Roma dove continua i suoi studi medici presso l' Ospedale di Santo Spirito e lo Xenodochium San Giacomo per gli incurabili, ma nel 1527, a causa del sacco dei Lanzichenecchi, decide di lasciare la città per trasferirsi a Trento dove rimane per un trentennio. Va quindi a vivere in Val di Non e presto la sua fama giunge alle orecchie del principe-vescovo Bernardo Clesio che lo invita presso il castello del Buonconsiglio offrendogli il posto di consigliere e medico personale. Proprio al vescovo Clesio, Mattioli dedicherà due delle sue prime opere, una delle quali, il poema in versi «Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento», descrive in dettaglio la ristrutturazione di carattere rinascimentale che il vescovo ordinò per il suo castello. Il poema, pubblicato nel 1539 dal Marcolini a Venezia, utilizza una struttura detta dell'ottava rima, come quella che usava il Boccaccio, ma non è opera dello stesso livello di quelle di altri poeti dell'epoca.

Nel 1528 Mattioli sposa una donna trentina, una tal Elisabetta di cui non è noto il cognome, e dalla quale ha un figlio. Cinque anni dopo pubblica il suo primo libello: «Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum» e inizia a lavorare alla sua opera su Dioscoride. Poi nel 1536 Mattioli accompagna Bernardo Clesio a Napoli per un incontro con l'imperatore Carlo V. Quando tuttavia Bernardo Clesio muore, nel 1539, gli succede Cristoforo Madruzzo il quale ha già un medico, e così Mattioli si trasferisce a Cles, dove tuttavia si trova presto in ristrettezze finanziarie.

Tra il 1541 e il 1542 Mattioli si trasferisce a Gorizia, dove pratica la professione di medico e lavora alla traduzione della Materia Medica di Dioscoride dal greco, aggiungendovi i suoi discorsi e commenti. Poi finalmente nel 1544 pubblica per la prima volta la sua opera principale, «Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete», più comunemente conosciuto come i «Discorsi di Pier Andrea Mattioli» sull'opera di Dioscoride. La prima stesura fu pubblicata a Venezia senza le figure e fu dedicata al cardinale Cristoforo Madruzzo, principe-vescovo di Trento e Bressanone.

Da notare che Mattioli non si limita a tradurre l'opera di Dioscoride, ma la completa con i risultati di una serie di ricerche su piante ancora sconosciute all'epoca, trasformando i Discorsi in un'opera fondamentale sulle piante medicinali, un vero punto di riferimento per scienziati e medici per diversi secoli.

Nel 1548 pubblica la seconda edizione dei «Discorsi di Mattioli su Dioscoride», con l'aggiunta del sesto libro sui rimedi contro i veleni, considerato apocrifo da molti. In seguito vengono pubblicate molte altre edizioni, alcune tuttavia senza la sua approvazione. Riceve anche molte critiche da notabili dell'epoca. Nel 1554 viene pubblicata la prima edizione latina dei Discorsi di Mattioli, chiamata anche Commentarii, ovvero «Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore». È la prima edizione a essere illustrata ed è dedicata a Ferdinando I d'Austria, allora Principe dei Romani, di Pannonia e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d'Austra, duca di Borgogna, conte e signore del Tirolo. In seguito sarà tradotta anche in ceco (1562), tedesco (1563) e Francese.

In seguito a tanta fama e successo, Ferdinando I chiama Mattioli a Praga come medico personale del suo secondogenito arciduca Ferdinando. Prima di partire, tuttavia, gli abitanti di Gorizia decidono di donagli una preziosa catena d'oro che si può vedere in molte delle sue raffigurazioni, come segno di stima e affetto. Nonostante questo, nel 1555 Mattioli si trasferisce a Praga, anche se già l'anno successivo è costretto a seguire, suo malgrado, l'arciduca Ferdinando in Ungheria nella guerra contro i Turchi.

Nel 1557 si sposa per la seconda volta con una nobile goriziana, Girolama di Varmo dalla quale ha due figli, Ferdinando nel 1562 e Massimiliano nel 1568, i cui nomi sono scelti chiaramente in onore della casa reale. Proprio il 13 luglio 1562 Mattioli viene nominato da Ferdinando Consigliere Aulico e nobile del Sacro Romano Impero. Quando Ferdinando muore nel 1564 sale al trono Massimiliano II. Per un po' Mattioli resta al servizio del nuovo sovrano, ma nel 1571 decide di ritirarsi definitivamente a Trento. Due anni prima si era sposato per la terza volta, di nuovo con una donna trentina, una tale Susanna Caerubina.

Nel 1578 (1577 ab incarnatione) Pietro Andrea Mattioli muore di peste a Trento nel mese di gennaio o di febbraio. I figli Ferdinando e Massimiliano gli dedicano un magnifico monumento funebre che pongono nel Duomo della città, tuttora esistente.

Opere

1533, Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum
1535, Liber de Morbo Gallico, dedicato a Bernardo Clesio
1536, De Morbi Gallici Curandi Ratione
1539, Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento
1544, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, detti Discorsi
1548, Traduzione in italiano della Geografia di Tolomeo
1554, Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore, detti Commentarii
1558, Apologia Adversus Amatum Lusitanum

1561, Epistolarum Medicinalium Libri Quinque
1569, Opusculum de Simplicium Medicamentorum Facultatibus
1571, Compendium de Plantis Omnibus una cum Earum Iconibus

Annus ab incarnatione

A quell'epoca, nel Senese e nel Fiorentino, si utilizzava un calendario diverso da quello usato attualmente e che inizia con il primo di gennaio. Quello senese e fiorentino, infatti, iniziava il 25 marzo, ovvero il giorno dell'Annunciazione a Maria. Tutte le date erano quindi un anno indietro tra il 1º gennaio e il 24 marzo. Questo modo di contare gli anni si chiamava "ab incarnatione" e poiché Mattioli nacque e morì proprio nei primi mesi dell'anno, ne derivano due date diverse sia per la sua data di nascita che per quella di morte, a seconda del calendario considerato. Mentre infatti per il calendario gregoriano il 1501 va dal gennaio 1501 al dicembre 1501, per quello senese e fiorentino i primi tre mesi dell'anno, ovvero dal primo gennaio al 24 marzo, si è ancora nel 1500. Bisogna quindi fare attenzione allo stile delle date per quanto riguarda la biografia di Mattioli come quella di altri personaggi dello stesso periodo, anche perché papa Gregorio XIII riformò il calendario nel 1582 saltando 10 giorni in ottobre ma i domini fiorentini si allinearono al nuovo calendario solo a partire dal 1750.








Valle Anania
Valle Anaunia - Val di Non

Pierandrea Mattioli a proposito dell'agarico usa l'aggettivo latino Ananiensis per indicare i monti della Val di Non: ipse quidem saepius in Ananiensibus montibus praestantissimum agaricum parva quadam securi a laricibus quam pluribus deieci. Nella biografia di Mattioli stilata da Girolamo Tiraboschi (Storia della letteratura italiana 1796) leggiamo che "quattordici anni era il Mattioli vissuto nella Valle Anania nel distretto di Trento". Oggi Anania è irreperibile sia nelle enciclopedie che nel web. Al suo posto troviamo Anaunia. Anaunia deriva dal nome dell’antico capoluogo Anagnia, oggi Sanzeno, 39 km a nord di Trento.

Anaunia regio imperii Romani in Alpibus erat. Haec regio habebat duas valles quae recentibus temporibus sermo Italianus Val di Non et Val di Sole, Germanicus autem Nonstal sive Nonsberg et Sulzberg appellat. – web

Val di Non

La Val di Non è una delle principali valli del Trentino, situata nella parte nord-occidentale della provincia. È costituita da un ampio altopiano, attraversato dal torrente Noce e conta 38 comuni. Orograficamente la valle si biforca a Y all'altezza del lago di Santa Giustina e quindi la zona si divide in sponda destra (a ovest del Noce), sponda sinistra (d est del fiume) e "terza sponda" (la zona a nord del Noce e del rio Novella).

La Val di Non ha 38 comuni

1 Castelfondo - 2 Fondo - 3 Malosco - 4 Brez - 5 Sarnonico - 6 Ronzone - 7 Ruffrè-Mendola - 8 Cavareno - 9 Amblar - 10 Romeno - 11 Don - 12 Rumo - 13 Bresimo - 14 Cis – 15 Livo - 16 Cagnò - 17 Revò - 18 Romallo - 19 Dambel - 20 Cloz - 21 Sanzeno - 22 Cles - 23 Coredo - 24 Smarano - 25 Sfruz - 26 Vervò - 27 Tassullo - 28 Tuenno - 29 Terres - 30 Nanno – 31 Taio - 32 Tres - 33 Ton - 34 Sporminore - 35 Denno - 36 Cunevo - 37 Flavon - 38 Campodenno

La valle si apre a occidente della Valle dell'Adige, all'altezza della confluenza del Noce nell'Adige. Deve il suo nome ai Monti Anauni che la separano dalla Bassa Atesina e dalla Val d'Adige. In tempi remoti era infatti chiamata Valle Anaune e nel corso dei secoli mutò il suo nome in Val di Non grazie alla lingua dialettale dei suoi abitanti, il Nones, secondo alcuni linguisti di derivazione ladina. A occidente è delimitata dalle Dolomiti di Brenta, mentre a nord-ovest, dove nasce la Val di Sole, dalla Catena delle Maddalene; confina infine a settentrione con la Val d'Ultimo e l'Alto Adige.

La valle è raggiungibile, oltre che dall'accesso principale costituto dalla strada statale 43 che la collega con Mezzolombardo e la Valle dell'Adige attraverso la Forra della Rocchetta, da altri 3 passi: il Passo Palade da Merano, il Passo della Mendola da Caldaro e Bolzano, infine il Ponte di Mostizzolo che la collega a est con la Val di Sole, da cui per il Passo del Tonale si passa in Lombardia. È inoltre attraversata dalla Ferrovia Trento-Malè.

Il centro abitato più importante della vallata è Cles, che sorge a lato del grande lago artificiale di Santa Giustina. La valle è ricca di storia, dal tempo degli antichi romani che avevano intuito l'importanza di questi territori vicini al Passo del Brennero, fino al Medioevo, periodo in cui sorgono numerosi castelli, come Castel Thun, Castel Bragher, Castel Coredo, Castel Cles oppure come il Santuario di San Romedio, o i palazzi assessorili di Cles e Coredo, che divennero i centri giuridico-amministrativi più importanti del periodo, in cui sono state emesse anche sentenze di condanna a morte nel periodo di caccia alle streghe. In valle sono presenti numerosi laghi, come il lago artificiale di Santa Giustina e i laghi di Coredo e Tavon e di Tovel, segno dell'abbondanza di acqua della zona.

L'economia della vallata è principalmente di tipo agricolo (frutticolo): la valle è resa famosa dalla vastissima produzione delle mele Golden conosciute commercialmente con il marchio Melinda (primo marchio DOP concesso per un prodotto del settore frutticolo). Ricoprono una discreta importanza per l'economia locale anche il turismo e l'artigianato, sono inoltre presenti alcune aree artigianali e con piccole industrie e cementifici nella zona di Cles, Tassullo e Mollaro. Nell'alta valle di Non sono anche presenti piccole imprese legate all'industria del legno che producono imballaggi.

Percorsi d'Anaunia

La particolare configurazione del territorio della Valle di Non, con ampi terrazzi morenici incisi dalle profonde forre dei Torrenti Noce e Novella, distingue - da un punto di vista geomorfologico - tre distinte zone localmente definite come sponda sinistra, sponda destra e terza sponda: quella in sinistra orografica del Torrente Noce, dalla gola della Rocchetta a sud, fino al Passo delle Palade a nord, comprendente l’ampio territorio dominato dalla lunga e boscosa catena del Monte Roen è storicamente individuata come Anaunia dal nome dell’antico capoluogo Anagnia (Sanzeno); tale zona è citata nell’importante documento storico risalente al 46 dC rinvenuto a Cles (Tavola Clesiana), con il quale l’imperatore Claudio concedeva la cittadinanza romana agli abitanti della valle, distinguendoli in Anauni, Tuliassi e Sinduni, probabilmente in funzione della loro collocazione geografica.

L’Anaunia è a sua volta divisa dalla profonda forra del Torrente San Romedio che ne delimita la parte nord (Alta Anaunia o, in gergo popolare locale, “Soratovo”). Beneficiando della notevole ricchezza di beni storici (castelli, torri, viabilità antica etc.) e ambientali (forre, grotte, punti panoramici, vegetazione etc.), presenti in questo ambito geografico, sono stati ideati e proposti i seguenti 12 percorsi di tipo turistico-escursionistico, finalizzati al collegamento e alla riscoperta di tali luoghi. L’asse principale di collegamento, dalla Rocchetta a San Romedio, costituito dai percorsi n. 1-4-5-6-8-12 si sviluppa per circa 20 km, partendo dai ruderi della Torre di Visione (castello medioevale con amplissimo panorama) sovrastante la gola della Rocchetta, arrivando fino alla pineta oltre l’abitato di Smarano a ridosso della Valle del Verdès in fondo alla quale sorge il famoso santuario, raggiungibile tramite sentiero che, dipartendosi dal percorso n. 12, scende al lago di Tavon e successivamente a San Romedio.

Tale sistema di percorsi recupera la viabilità antica che dalla Rocchetta giunge a Castel Thun e in seguito al notevole complesso edilizio - religioso di San Martino a Vervò, attraverso bei boschi di faggio e conifere, passando per la guarnigione di Prà Ciastel (ruderi, probabile luogo di sosta e cambio dei cavalli), Mas del Mont (ampia e panoramica distesa prativa) e attraversando la forra del Rio Pongaiola; successivamente il percorso prosegue a monte dell’abitato di Vervò riprendendo comode strade forestali, fino agli abitati di Sfruz e Smarano, dopo aver attraversato la valletta del rio di Sette Fontane. Anche quest’ ultimo tratto di percorso rappresenta probabilmente l’antica viabilità di collegamento fra gli abitati di Vervò e Tres con Smarano e Sfruz, separati dal solco vallivo del rio Sette Fontane.

Dall’itinerario principale si dipartono dei tracciati (per altri 25 km complessivi, finalizzati al raggiungimento di manufatti e luoghi di particolare interesse: in prossimità di Vigo d’Anaunia, tramite i percorsi n. 2 e 3, rispettivamente il castel S.Pietro (XII sec. su sperone roccioso lungo l’antica via che collegava la Val d’Adige) e la forra della Val Ciucina; a valle di Priò, l’agevole e lungo percorso n. 7, da Priò a Castel Bragher (XIII sec.), transitando per l’abitato di Vion; a Tres, i percorsi n. 9 e 10 passando per il “Lac del Bosc” (bella conca prativa con biotopo lacustre) o raggiungere il singolare anfratto roccioso “Vout Sette Fontane”, con possibilità di proseguire per Sfruz o Smarano; da questi, il sistema di percorsi è collegato verso monte con il panoramico altopiano della Predaia (percorsi n. 8 e 11) e - tramite la strada esistente che sale all’omonimo rifugio, con la sentieristica CAI che corre in quota lungo la dorsale della Catena del Monte Roen (Sentiero Italia), raggiungibile anche dal versante atesino (Mezzocorona, Favogna e Termeno).

www.percorsianaunia.it

Santuario di San Romedio

Scrigno di spiritualità e suggestione

Attraverso una passeggiata panoramica lungo fitti boschi e anfratti rocciosi, sospesi sopra le acque che scorrono nel fondo valle, si giunge alla splendida cornice del Santuario di San Romedio. Una ripida scalinata di 131 gradini conduce il visitatore, attraverso un complesso di piccolissime chiesette sovrapposte, sulla sommità dello scoglio roccioso, alto più di settanta metri, dove, secondo la leggenda, si sarebbe rifugiato in eremitaggio San Romedio.

Si narra di come, sul finire del X secolo, il nobile Romedio, erede della prestigiosa casata tirolese dei Thaur, chiamato dalla voce di Dio, abbandonate tutte le sue ricchezze, decise di cercare la vera felicità e la comunione col Creatore ritirandosi in meditazione sulla cima di una roccia. Alla sua morte, coloro che gli erano stati fedeli, scavarono nella roccia la sua tomba e diedero vita al culto che dal lontano anno 1000 si perpetua ancor oggi.

A partire dalla prima cappella costruita nell'XI secolo, la fede degli umili nel loro Santo protettore fece sì che venissero erette, nel corso dei secoli, una sopra le altre, tre piccole chiesette, due cappelle e sette edicole della Passione, vere custodi della sacralità e della magia del santuario. La fede nel Santo in Valle era davvero forte, tanto che a partire dal XV secolo le pareti lungo la scalinata che conduce alla tomba dell'eremita si riempirono di oggetti ex-voto, segni dell'immensa fiducia dei pellegrini nel potere del Santo.

Il Santuario di San Romedio, uno dei più suggestivi in Europa, spesso ricordato anche per l'area faunistica adiacente l'ingresso in cui vivono in semilibertà due orsi, vera mascotte di tutti i bambini della Val di Non. La loro presenza in questo luogo di culto è¨ legata alla leggenda secondo cui Romedio, ormai vecchio, si sarebbe incamminato verso la città deciso a incontrare il Vescovo di Trento Vigilio. Lungo il percorso il suo cavallo sarebbe stato sbranato da un orso, Romedio tuttavia non si diede per vinto e avvicinatosi alla bestia sarebbe riuscito miracolosamente a renderla mansueta e a cavalcarla fino a Trento. Il 15 gennaio di ogni anno si festeggia il giorno di San Romedio con una messa e il tradizionale piatto del pellegrino a base di trippe.

www.valledinon.tn.it

Trento

Sulle orme di Pierandrea Mattioli

un piovoso 12 agosto 2006

foto di Claudia Mattioli e Simone Savastano

Nel centro della città, in piazza del Duomo, sorge la cattedrale di San Vigilio, costruzione romanico-gotica di derivazione lombarda dei secoli XII-XIV, con aggiunte successive. Vi si tennero tutte le sedute formali del Concilio Tridentino, dal dicembre 1545 al dicembre 1563.

Pierandrea Mattioli sta stilando il suo commento a Dioscoride


San Vigilio

Vescovo e patrono della città di Trento, visse nella seconda metà del IV secolo. Le notizie che abbiamo mescolano dati storicamente documentati ad altri di origine leggendaria, come probabilmente il martirio, avvenuto secondo la tradizione a opera delle popolazioni pagane trentine della Val Rendena. Recatosi in quelle zone con l’intento di convertirle, il vescovo Vigilio vi avrebbe trovato la morte per lapidazione. Una diffusa iconografia popolare, affermatasi in tempi più tardivi, rappresenta il santo con accanto uno zoccolo, ritenuto strumento del suo martirio.

Dalla corrispondenza epistolare giunta fino a noi fra San Vigilio e Sant'Ambrogio vescovo di Milano, sappiamo che fu quest'ultimo a inviare in Trentino Sisinio, Martirio e Alessandro per coadiuvare il vescovo Vigilio nella sua attività pastorale.

Bernardo di Clès
Bernardo Clesio

Umanista italiano (Clès 1485 - Bressanone 1539). Vescovo-principe di Trento (1514), cardinale nel 1530, fu consigliere di Carlo V e avversò la Riforma protestante. Mecenate, fu in rapporti di amicizia con Erasmo da Rotterdam e con Pietro Bembo.

Ferdinando I d'Asburgo

Imperatore (Alcalá de Henares 1503 - Vienna 1564). Fratello minore dell'imperatore Carlo V, che nel 1521 gli cedette le terre ereditarie asburgiche (in cambio della rinuncia allo smembramento dei Paesi Bassi) e, nel 1531, il titolo di re dei Romani. Dopo una lunga collaborazione col fratello, in seguito all'abdicazione di Carlo ebbe nel 1558 il titolo imperiale. Educato in Spagna dal nonno Ferdinando II il Cattolico, sposò (1521) Anna Iagellona e pose la sua candidatura al trono di Ungheria e di Boemia che ebbe, almeno formalmente, alla morte del cognato, re Luigi II (1526). Pur lottando contro la diffusione della Riforma, si adoperò sin dal 1531 per una soluzione pacifica, elaborando, anche per conto di Carlo V, la Pace di Augusta (1555). Pazienza e tempismo politico gli permisero di consolidare il potere nell'Est: concesse alcune libertà all'Ungheria stremata dopo la sconfitta subita dai Turchi a Mohács (1526). Con i Turchi stipulò nel 1547 un patto; in Boemia sottomise gli avversari dopo la guerra di Smalcalda (1547), ma usò una prudente tolleranza religiosa. Con gli ordinamenti del 1527 varò una decisiva riforma amministrativa, che diede l'avvio alla trasformazione dell'Austria in Stato moderno, centralizzato ed efficiente.

Massimiliano II d'Asburgo

Imperatore (Vienna 1527 - Ratisbona 1576). Primogenito di Ferdinando I, gli succedette nel 1564 (dopo essere già stato eletto re di Boemia e di Germania, 1562, e re d'Ungheria, 1563), garantendo formalmente la continuità del cattolicesimo in Germania, nonostante le sue inclinazioni luterane. Per mantenere l'unità della casata sposò (1548) la cugina Maria, figlia di Carlo V, e concedette la figlia Anna in moglie a Filippo II (1570). In Austria e Ungheria tollerò le conversioni al luteranesimo di molti nobili, pur rafforzando la Chiesa cattolica; verso i Turchi adottò una politica di pace. Eletto re di Polonia nel 1575 in concorrenza con Stefano Bathory, morì improvvisamente l'anno successivo dopo aver assicurato la successione al figlio Rodolfo.

 

 

Vivian Nutton

Matthioli
and the art of the Commentary

www.alessandrina.librari.beniculturali.it

Icones veterum aliquot ac recentium Medicorum Philosophorumque
Ioannes Sambucus / János Zsámboky
Antverpiae 1574

Matthioli’s Commentary on Dioscorides is one of the great books of the Renaissance. It had a major influence on medicine and botany around Europe, being bought and, one presumes, consulted by scholars from Cambridge to Cracow[1]. In its importance in its subject, it can be compared with Vesalius’ Fabrica in anatomy, or with Fracastoro’s ideas on contagious diseases[2]. As an object of beauty it graces the display cabinets of many libraries, and it may still be studied with profit for the botanical and historical information it contains. Yet how and why Matthioli and his book came to occupy this position of preeminence are questions that have not been adequately examined, for there is always a tendency to assume that the reasons for the success of any literary work are almost self-evident: it was a great success, therefore it must have been a brilliant book. But, as we know, brilliant books may meet with commercial and academic failure; and best-sellers may not be the most deserving of that honour. Why was it that Matthioli’s book and not that of, say, Fuchs or Brasavola came to dominate Renaissance botany? My brief communication will look at one aspect of Matthioli’s work, his activity as a commentator, as a contribution to an answer to this question.

It should be stated at the outset that any answer must take account of chronology: it is not only that the book itself changed as it went through various editions and translations, generally becoming larger with additional material, but Matthioli’s own career and circumstances changed. The doctor at Trento and Gorizia in the 1530’s and 1540’s was not the international figure that he became in the 1550’s; the provincial physician was not the later imperial physician of Archduke Ferdinand, sitting in Prague at the centre of a spider’s web of correspondence. In 1540, when he was preparing the first edition of the Discorsi, Matthioli was far from being the authoritative, even manipulative figure, of the 1560’s, whose influence was such that his disapproval, or even his failure to mention one’s discovery or identification of a new plant, was tantamount to a professional death sentence. The pan-European network of correspondents developed by Matthioli, with the aid of the ubiquitous imperial postal service, was very different from the very local contacts he displayed in the first edition of the Discorsi. Indeed, it was his book’s success that gave him this position of eminence, not the reverse.

Nicolò de Bascarini da Pavone, the publisher of the 1544 edition, was not the most celebrated printer in Venice, for he was only just beginning his career as a printer and this was his first major success[3]. It was only with the second edition of the Discorsi in 1548, published by Vincenzo Valgrisi, that Matthioli found a publisher with a truly international reputation. A glance at the printing privileges obtained for the 1544 and the first Latin edition of 1554 shows a major difference of ambition. In 1544 protection against plagiarism was obtained only from Venice and the Pope: in 1554 this had been extended beyond the Alps with the approval of the King of France, and the greatest patron of them all, the Holy Roman Emperor himself.

Nor can we set the success of the Discorsi down to the quality of the book’s illustrations, for these did not make their appearance until the first Latin edition of 1554, twelve years after Leonhart Fuchs’ beautifully illustrated De historia stirpium and more than twenty years after Brunfels’ Herbarum vivae eicones had shown how the printing press could transform the study of plants. Indeed, the first illustrated Renaissance edition of Dioscorides was not that of Matthioli, but the 1543 Frankfurt edition, supervised by the noted plagiarist Wilhelm Ryff. But Matthioli was far from alone in the relative slowness of his response to the new iconography, or in having his doubts about the value of a drawing of a plant at only one stage in its life. One should not forget that the provision of illustrations on the lavish scale of later editions not only slowed up a book’s production but also added considerably to its cost at first[4].

How then are we to explain the perhaps unexpected success of this work by a provincial physician, trained by no expert herbalist and known, if at all, to the outside world only by a relatively undistinguished treatise on the morbus gallicus and a description of his patron’s Palace at Trento?[5]

I want to look closely at Matthioli’s art of commentary, focussing in particular on the 1544 Discorsi and comparing certain passages in them with the treatment accorded to the same passage by Matthioli’s rivals and later in the first Latin edition of 1554 and as it appeared at the end of his life in the Latin edition of 1583[6].  In so doing, I shall be demonstrating features that have, until now, been little studied, yet which may help to explain why other doctors and scholars came to value his work so highly.

One point should be made clear at the outset. Although there were in Italian universities by the late sixteenth century lectures on Dioscorides, and although the practice of taking Dioscorides along on a herborizing expedition to identify plants was widespread, at the time that Matthioli began his work, most of the renaissance commentaries on Dioscorides were philological enterprises, not the direct result of university lectures, like those on some Galenic and Hippocratic texts[7]. Hence the variety of words used to describe these productions, annotationes, annotamenta, censurae, scholia, as well as commentarii. They are works from the study, not the lecture room, and they display the contemporary apparatus of scholarship, quotations, references, and textual discussions, to a much greater extent than would in general have been the case for a medical commentary.

Although Matthioli’s work takes the form of a commentary, with the text printed in bold Roman type with the commentary beneath in a smaller italic font, it lacks some of the common features of such writings. There is no painstaking explanation of individual words in Dioscorides’ Greek, no line by line explication of the ancient text, such as we find, for instance, in the commentary on the medical poem of Aemilius Macer ascribed to Johannes Atrocianus[8]. Nor is it a series of disconnected notes on Dioscorides, like those of Valerius Cordus. Rather, it is a flowing piece of continuous prose in what I judge to be elegant Italian. It is still constrained by the form of the commentary - there are no literary fancies, such as the dialogue form adopted in his pharmacological writings by Brasavola - but it reads like a disquisition, a true discorso, rather than an academic tome. In place of a set formula for the organisation of each section, as in Ryff’s 1543 commentary, Matthioli employs literary and rhetorical variation to convey the same information. I give one very simple example. All commentators endeavour to identify the plant mentioned in each section and give it a name, sometimes as a separate heading, sometimes in a list of local, regional or national names. Matthioli gives this information almost incidentally in a way that entices the reader to continue further. Here are three consecutive openings:

1 - Chiamasi il soncho uolgarmente in Thoscana Cicerbita e Crespine anchora;

2 - Notissime a tutta Italia sono le Endiuie et le Cicoree....

3 - Non è dubbio che la Condrilla... sia altro che spetie di vera Cicorea.

The name of the plant is given in Italian, but in such a way as to avoid an impression of philological didacticism, and with a pleasing stylistic variatio.

Matthioli’s Latin edition of 1544 is very largely a straightforwardly accurate translation from the Italian. But there are changes in wording, some of them subtle: sonchus in Hetruria, ubi Latinum nomen perdurat, Cicerbita vulgo vocatur.

A minor error (the name Crespine) is quietly corrected, and the doubts of Marcellus Virgilius about the survival of the ancient name in modern Etruria implicitly criticised. The Latin retains much of the stylistic grace of the Italian, even if it falls short of the elegance of Marcellus, but he, as Peter Godman has recently shown us, was a professional stylist as the Chancellor of Florence[9].

Later editions, in Italian or in Latin, keep much of the wording of 1544 or 1554, and they influence one another. A few entries receive a near total reshaping, but far more often the new material is inserted into the old text, a clause here, a sentence there, sometimes a paragraph, and even on rare occasions several pages, before Matthioli returns to his initial wording. But the whole procedure is performed with such skill that the casual reader can hardly detect the joins.

But it is above all the fact that Matthioli published this work in Italian that is most striking. Although translations of classical works on ancient medicine were gradually becoming available in Italian - Fausto da Longiano’s version of Dioscorides was published in 1542, that of Montigiano in 1546, Tarchagnota’s translations of Galen in the late 1540’s -, they were rarely accompanied by scholarship of this detail or this length. Matthioli breaks new ground in publishing his work for an Italian audience, one that was not entirely at home with Latin, but would retain an interest in botany and pharmacology. Its intended audience, one might suppose, is also less wealthy than the average university medical student, although far from poor. A work like this may have gained at least local success because of its choice of Italian, which allowed it to establish itself within N. Italy, but this does not explain its success entirely. There are other qualities which, to my mind, helped it to become the European bestseller that Valgrisi at least had hoped for it once it had been turned into Latin.

But what of the content? The 1544 edition is not a particularly grand achievement as far as the technical side of its production goes. The type is not always clear, the paper is of middling quality, the aids to the reader are confined to a single index of plant names and an even briefer index of Tuscan words. The 1554 Latin edition expands the indexes to give a fuller list of contents, but, curiously, it does not implement one change already in the 1550 Italian edition that was to become part of the later Latin editions. In those the indexes have been transformed into a guide to medicine: alongside the list of contents, of weights and measures, and of plates, there are detailed indexes giving references to the properties of the drugs and their usages. One gives the parts of the body for which they are appropriate, another the type of disease, including ulcers, poisoning, and fractures; another the drugs that can be used as emetics; another those useful as beauty aids. Together these lists allow the book to be easily consulted, if one starts from a medical problem, and not from one of botanical or zoological identification.

But what of Matthioli’s own scholarship as revealed in 1544, for it was this that gave him credibility among his peers? We may divide this into two, his own botanical expertise and academic learning. The former is easily evident throughout. On the Potamogeto, he says: “Hollo piu volte veduto io spetialmente in alcuni laghi della valle Anania (the modern Val di Non) e ritoltolo con le proprie mani.” Rhubarb he compares with other odourless plants he has seen growing in Germany and Styria. He reports the large sea eagles, the agrotti, he has seen in the lagoons at Orbetello ‘nelle nostre Maremme di Siena’, a passing hit at Marcellus, who had emphasised that Dioscorides’ description of the ‘ossifrago uccello’  was second-hand and could be entirely legendary. Matthioli tells jokes about Etruscan peasants who have foolishly attempted to remove the skin from asses who have fallen into a stupor from eating hemlock, and who have been frightened when the animal suddenly woke up and bellowed. Practical details are offered along with personal reminiscence: “Veggansi il mese di Marzo fiorite tutte le spezie preddette dell’ elleboro nero l’una appresso all’altra della grandissima selva, che si passa di andare da Gorizizia à Lubiana, città di Carniola, ove l’ho spesso tolto per i bisogni.” His account of mandragora takes us into the world of ‘Ciurmadori et Cerretani’, who produce fake roots for sale in Rome for 25 or 30 ducats a time, and whose secrets were revealed to him by a travelling herbalist he had treated for syphilis. His description of aconito is full of vigorous description and reminiscences of it growing in the mountains near Trento, and sold on Ponte Sant’Angelo in Rome. Most striking of all is his story of the experiments carried out by his master Gregorio Caravita before the Pope in November 1524 on two Corsican assassins. Caravita had invented an antidote, which he gave to one man, who had eaten large quantities of the poisonous plant in a marzapane: he recovered in three days. The other, who had taken far less of the poison but none of the antidote, died in agony after 17 hours, exactly as Avicenna had described.

These memories serve three purposes. They establish Matthioli’s credentials as a practical observer; they provide witnesses or the means of authenticating his statements; and they break up an otherwise bald exposition. But, it should be noted, in this Matthioli was doing nothing unusual: personal reminiscences can be found in the work of Brasavola at Ferrara, Valerius Cordus at Wittenberg, or the English botanist William Turner, to name but three contemporaries. Another Englishman, the natural historian and Galenist Edward Wotton, was specifically criticised by Conrad Gessner of Zurich for obtaining his data entirely from books - and not doing it particularly well. Gessner, and his English friend John Caius, were avid students of botany and zoology in life as well as in the library. In his willingness to record his own experiences with plants, animals, and birds, Matthioli, then, is little different from his immediate competitors. He is a man of the 1540’s, not the 1520’s, and much had changed since 1492 when Leoniceno had delivered his demand for a return to Dioscorides as the true guide to pharmacology.

But it is the second type of scholarship, Matthioli’s own academic learning, that may give us the clue to the success of the 1544 Discorsi. It is not that Matthioli shows himself to be a particularly learned or a particularly ignorant botanist[10]: what is striking is the balance that he manages to keep between necessary exposition and superfluous information. We know a good deal about his sources: Fuchs, Brasavola, Leoniceno, Manardi, Barbaro, and Ruelle (whose Latin translation forms the basis for his own Italian). Above all, he is influenced, far more than he admits, by Marcellus Virgilius. It is Marcellus who points out that the drug ‘kyphi’ is an anomaly in the standard text of Dioscorides: it is a compound drug, not a simple herb, and, it is not included in the oldest manuscripts or in Paul of Aegina’s repetition of this section. It is also Marcellus who convinces Matthioli not to spend time on a discussion of the rice plant, oryza, as it is ‘familiarissimo’ on any Italian table. But how he uses these source is worth noting. He rarely indulges in long quotations or a series of references. When he does cite Galen or other classical authorities verbatim, he does so briefly. He mentions that rhubarb, rhabarbarum, is thought to come from Pontus near the river Rha, described by Ammianus Marcellinus, but he does not, like Cordus or Marcellus, quote the passage at its full length. His scholarship is not as obtrusive as that of Barbarus or of many other commentators. When discussing the lark, la lodola, alauda, Matthioli does not talk at length, as his predecessors had done, on the usage of the word in classical literature or on the famous Roman legion of Julius Caesar that bore the name of Alauda. His comments are brief and to the point: they relate to modern Italy and the habits of the bird. Larks, he says, are terrified of sparrowhawks and will even fly into the clothing of humans in order to escape: tenendosi per cantare i maschi nelle gabbie, diventano spesso ciechi d’un occhio, come per esperienza vede.

Similarly, birds and plants that he believes are not longer to be found or where Dioscorides’ description is too vague for precise identification are dismissed curtly, without a long list of possible modern names. Matthioli does not make a fetish out of nomenclature. At times, it is enough for him to make identification clear simply by his translation and by including the name in his first sentence. There are not the long lists of names that can be found in other commentaries, and which, in the later editions of his own commentary, form a regular coda to each entry, giving the name in a variety of languages, including Bohemian and Polish as well as Italian, Spanish and German. But a comparison with other commentators shows how little of significance Matthioli has missed. He also has a gift for summarising complex issues clearly. His discussion of rhubarb sets out clearly the terms of the debate; he notes the difficulty of identification of the species described by Dioscorides, and that Manardi changed his mind when he thought he had acquired from Muscovy the genuine article (far superior to that grown widely in Italian gardens). Matthioli comments on the ease with which rhubarb can be bought at Venice - and its high price, its own weight in gold, almost certainly the result of speziali exaggerating its healing powers. He also wonders about this alleged potency, since in Italy it is often given to small children and pregnant women with no obvious major side-effects.

Here I suggest is a very good reason for the success of the 1544 commentary: its gift for precise and balanced exposition. Like the rules of Gaelic vowel harmony, it is always ‘slender with slender, broad with broad’. Where Matthioli has something important to say, he says it; when he has not, he does not burden us with the irrelevancies of others. Matthioli is, in short, a commentator of genius.

Subsequent editions bring their own advantages and disadvantages. The 1554 Latin edition shows a transition to a slightly different book, a more academic and scholarly production. Quotations from Galen or Hippocrates are expanded, and there is more attention paid to textual questions. For example, Matthioli notes, following Marcellus, that the younger manuscripts of Dioscorides do not have the word ‘kenos’, ‘hollow’, in their account of the sonchos: some Latin translators have the word ‘inanis’, and it is found also in Pliny’s description of the plant, which depends closely on its Greek model. But since the word is found in Oribasius and in the oldest codices, it is unlikely to be a medieval addition taken over from a comment in Pliny. There is expansion and also correction of his own errors: the androsace now grows in Syria, not near Soria in Italy, and, thanks to Luca Ghini, Matthioli can offer for the first time an identification with an Italian plant, one growing on the shores of Etruria. The discussion on the kyphi becomes more erudite, as does that on the mysterious Ossifragus. Here the quotations from Aristotle and Pliny are given in full, and Albertus Magnus is cited for the habits of the sea eagle in Etruria, an observation confirmed by Matthioli’s further personal experiences. Unfortunately, this ‘discovery’ of Matthioli was no discovery at all. As he was forced to admit later, his own copy of Albertus had the word ‘ossifragus’ instead of ‘osina’, a dreadful blunder by a scribe that he condemns at some length. The commentary is now illustrated, admittedly in restricted format, and is now becoming a major repository of the findings of others. Relatively few friends had given Matthioli their advice and conclusions in 1544; the 1554 edition, by contrast is full of new information on plants, drawing especially on the researches of Luca Ghini, the Pisan botanist, Anguillara, Melchiori, and many others. It is well on the way to becoming a work of European-wide collaboration, and something very different from an exposition of an ancient text.

The transformation is complete by Matthioli’s death. Although the form and much of the wording is still that of the commentary, the organisation, layout and feel of the huge double volume of 1583 have all altered. Although the discussions about manuscripts are both fuller and more sophisticated, not least because of Matthioli’s access to two early Viennese manuscripts of the Greek Dioscorides, one the celebrated sixth century Codex of Julia Anicia, the emphasis is less on Dioscorides than on the materia medica and its uses. As I have already remarked, the book’s indexes make medical consultation considerably easier. Gaps are filled wherever possible: oryza at last receives a full botanical treatment, and, thanks to Ghini, the stratiotes can be finally identified. The plates are both larger, more numerous, and better drawn. The list of his collaborators grows ever longer, from Francesco and Andrea Calzolari to Girolamo Donzellini and Ulisse Aldrovandi. The mysterious plant androsace, for which Ghini had suggested one identification, has now two, provided by Cortusio from his knowledge of Syrian plants. Two substantial plates dominate the relatively small amount of text in which Cortusio’s discovery is recorded.

As the book grew in size, so too did Matthioli’s ego. The tendency, already visible in the second edition, to point up the failings of others in marginal headings and to magnify his own achievement is now unmistakable. He is only too well aware of the eminence and importance of this book as a compendium of the botanical and medical lore of the sixteenth century, and of his part in it. His own error over the ‘ossifragus’ (now beautifully illustrated) is blamed on the wickedness of scribes. Nowhere is this better illustrated than in the entry for aconitum, which is expanded to twice the length of the original entry in 1544. This is in part the reflection of a massive debate over the correct identification of Dioscorides’ plant that involved most of the leading botanists of Europe, as well as the wholesale slaughter of small animals and of chicken as the poisonous powers of one herb after another were tested. Matthioli’s original views remain unchanged, despite the assault on them by Fuchs and Gessner. He responds in three ways. First, thanks to Cortusio and Donzellini, he includes detailed pictures of the plant at different stages of its life. Secondly he retells his own experiences, including a gruesome account of his own experiment with an antidote. He tried it out in 1561 on two criminals at Prague, one of whom lived, but only just, the other of whom suffered long agonies before finally succumbing. Matthioli was, of course, repeating the experiment of his old master, Caravita, but his description is more detailed and more cold-blooded in its details. It is preceded by an appeal, several lines long, to witnesses to Matthioli’s veracity: imperial courtiers, royal physicians like Alessandrino and Crato von Craftheim, ambassors and the like are summoned to confirm what Matthioli had shown and taught them. The language and style of this new passage indicates that its focus is not Dioscorides but Matthioli, and its purpose is not to explicate Dioscorides but to defend Matthioli. How could anyone believe that he, the great Matthioli, the imperial physician, was telling tales? ‘Come touch and see that Matthioli is not describing legends’.

This huge entry, seventeen pages long, exemplifies what Matthioli and his book came to stand for: an authoritative, comprehensive, experiential, learned, and beautifully illustrated account of all that was known about materia medica. But, as I have suggested, we should not read all this back into the first edition of the Discorsi of 1544, or automatically assume that this explains the success of the earlier volume. As I have argued today, we must look at that book on its own merits against the background of other discussions of Dioscorides. By doing that, we may come to a proper appreciation of Matthioli’s art of the commentary.

Sommario cronologico della vita e delle opere

a cura di Renzo Console

http://chifar.unipv.it/museo/Console/mattioli05/MttCrn.htm

Abbiamo adottato la grafia “Mattioli” perché è quella quasi sempre usata oggigiorno; ma dobbiamo notare che era identificato come “Matthioli” in tutte le sue opere stampate quando era in vita, ed è molto probabile che questa grafia fosse quella che egli stesso usava correntemente.

Quando viveva Mattioli, in tutti i territori sotto il dominio di Firenze si usava un calendario diverso da quello tradizionale. Infatti l’anno per i fiorentini (e i senesi come Mattioli) iniziava il 25 marzo, data del concepimento di Cristo e festa dell’Annunciazione di Maria. Così le date espresse secondo lo stile fiorentino (adottato anche da Mattioli) erano un anno indietro tra il 1º gennaio e il 24 marzo. Questo conteggio dell’anno si chiamava “ab incarnatione” per distinguerlo da quello usuale.

Mattioli nacque e morì nei primi mesi dell’anno (tradizionale), per cui abbiamo due date diverse sia per la sua nascita che per sua la morte secondo lo stile adottato per esprimerle. Infatti per il calendario gregoriano il 1501 va dal gennaio 1501 al dicembre 1501; per il calendario in uso nei domini fiorentini i primi tre mesi dell'anno - gennaio, febbraio e marzo fino al 24 - sono ancora 1500.

Gli studiosi devono inoltre fare attenzione allo stile delle date per quanto riguarda tutta la biografia di Mattioli, con la complicazione aggiuntiva dovuta al fatto che il papa Gregorio XIII riformò il calendario nel 1582 saltando 10 giorni in ottobre. Firenze si allineò a tutto questo solo a partire dal 1750.

1501

(Anno 1500 ab incarnatione). Mattioli nasce a Siena il 12 marzo (secondo alcuni il 14 o il 23 marzo), figlio del medico Francesco.

1523

Mattioli si laurea in medicina a Padova. Dopo la laurea torna a Siena, poi studia chirurgia a Perugia sotto Gregorio Caravita e si trasferisce a Roma per continuare i suoi studi medici presso l’Ospedale di Santo Spirito e lo Xenodochium San Giacomo per gli incurabili.

1527

Spinto dal sacco dei Lanzichenecchi, Mattioli decide di lasciare Roma e si trasferisce a Trento.

1528

Mattioli diviene medico e consigliere del principe-vescovo Bernardo Clesio. Si sposa per la prima volta.

1533

Morbi Gallici Novum ac Utilissimum Opusculum di Mattioli (secondo qualcuno pubblicato per la prima volta nel 1530). Mattioli sta già lavorando alla sua opera su Dioscoride.

1535

Liber de Morbo Gallico di Mattioli dedicato a Bernardo Clesio.

1536

Mattioli accompagna Bernardo Clesio a Napoli per un incontro con l’imperatore Carlo V. De Morbi Gallici Curandi Ratione di Mattioli.

1539

Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento (in versi) di Mattioli dedicato a Bernardo Clesio e scritto in occasione della visita a Trento del re di Boemia Ferdinando. Bernardo Clesio muore, gli succede Cristoforo Madruzzo (che ha già un suo medico) e Mattioli si trasferisce a Cles.

1541

Mattioli si lamenta di ristrettezze finanziarie.

1542

Mattioli si trasferisce a Gorizia (secondo qualcuno nel 1541), vi pratica la medicina e lavora alla traduzione della Materia Medica di Dioscoride dal greco, aggiungendovi i suoi “discorsi” e “commenti”.

1544

Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, & materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete, primi Discorsi di Mattioli sull’opera di Dioscoride, pubblicati a Venezia senza figure e dedicati al cardinale Cristoforo Madruzzo, principe-vescovo di Trento e Bressanone.

1545

Mattioli scrive a Nicolò da Rabatta per spiegare la sua riluttanza ad andare a visitare i pazienti.

1548

Seconda edizione dei Discorsi di Mattioli su Dioscoride, con l’aggiunta del sesto libro sui rimedi contro i veleni, considerato apocrifo da molti. Traduzione in italiano di Mattioli della Geografia di Tolomeo.

1549

Edizione dei Discorsi pubblicata a Mantova con figure errate, senza l’approvazione di Mattioli.

1550

Terza edizione ufficiale dei Discorsi, con nuovi indici che poi saranno inclusi in tutte le edizioni successive.

1551

Altra edizione dei Discorsi.

1552

Altra edizione dei Discorsi.

1553

In Dioscoridis Anazarbei de Medica Materia Libros Quinque Enarrationes Eruditissimae di João Rodrigues (o Juan Rodriguez) detto Amato Lusitano, che accusa Mattioli di errori, falsi e plagi.

1554

Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore, prima edizione latina dei Discorsi di Mattioli, chiamati Commentarii, per la prima volta con figure, dedicato a Ferdinando I d’Austria, allora “principe dei Romani, di Pannonia e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d’Austra, duca di Borgogna, conte e signore del Tirolo”. Mattioli ringrazia in una lettera il professore Ulisse Aldrovandi per aver consigliato i suoi Commentarii agli studenti di Bologna. Ferdinando I chiama Mattioli a Praga come medico personale del suo secondogenito arciduca Ferdinando. Edizione del Materia Medica di Dioscoride corretta e annotata da Mattioli, pubblicata a Lione.

1555

Altra edizione dei Discorsi pubblicata a Venezia. Mattioli si trasferisce a Praga. Poco più tardi Ferdinando I ingaggia gli illustratori per i Discorsi e ne organizza la traduzione in lingua boema.

1556

Mattioli segue malvolentieri l’arciduca Ferdinando in Ungheria nella guerra contro i Turchi.

1557

Altra edizione dei Discorsi pubblicata a Venezia. Mattioli scrive del suo viaggio in Ungheria ad Adrovandi. Si sposa per la seconda volta. Più tardi chiamerà i due figli nati da questo matrimonio Ferdinando e Massimiliano, chiaramente in onore della casa reale.

1558

Apologia Adversus Amatum Lusitanum di Mattioli, anche aggiunta in calce alla seconda edizione e successive dei Commentarii. Epistola de bulbocastaneo, oloconitide, mamira, traso, moly, doronico, grano zelin, zedoaria, zurambeto, carpesio & aliis di Mattioli. Apologiae Adversus Petrum Andream Matthaeolum di Melchiorre Guilandino contro l’identificazione di alcune specie fatta da Mattioli.

1559

Altre edizioni dei Commentarii e dei Discorsi pubblicate a Venezia.

1560

Mattioli chiede all’imperatore Ferdinando I di approvare la realizzazione dell’edizione migliorata e prestigiosa dei Commentarii, con l’appoggio dell’arciduca Ferdinando. Ristampa dell’edizione del 1559 dei Discorsi e nuova edizione dei Commentarii.

1561

Prima edizione dei Commentaires di Mattioli in francese, tradotti da Antoine du Pinet. Epistolarum Medicinalium Libri Quinque di Mattioli, a spese dell’editore Valgrisi. Adversus XX Problemata Melchioris Guilandini Disputatio di Mattioli. Historia Plantarum di Antoine du Pinet presa dagli scritti di Mattioli e altri.

1562

Prima edizione dei Commentarii di Mattioli in lingua boema (ceca), con le figure nuove e migliorate, disegnate da Giorgio Liberale e incise da Wolfgang Meyerpeck. Defensio XX Problematum Melchioris Guilandini Adversus Quae Petrus Andreas Matthaeolus ex Centum Scripsit di Paulus Hess. Nuova edizione dei Commentarii in latino dedicati a Ferdinando I d’Austria, “re dei Romani, di Pannonia e di Boemia, infante di Spagna, arciduca d’Austria, duca di Borgogna, conte e signore del Tirolo”.

1563

Prima edizione in tedesco dei Discorsi di Mattioli, con le figure migliorate e in grande formato. Altra edizione italiana dei Discorsi pubblicata a Venezia. Ultima edizione dei Commentarii con la difesa contro le accuse di Amato Lusitano, che poi verrà rimpiazzata dal saggio sulla distillazione delle acque.

1564

Mattioli continua a servire presso la corte di Praga come medico del nuovo imperatore Massimiliano II. Scrive una lettera a Petrus Sibyllenus che quest’ultimo pubblica nella sua opera De Peste Liber aggiungendovi alcuni “remedia contra pestem” di Mattioli.

1565

Mattioli ringrazia Gherardo Cibo per avergli inviato tramite il fratello Scipione tre suoi disegni colorati di piante. Prima edizione dei Commentarii di Mattioli in latino con le figure “grandi”.

1566

Altra edizione dei Commentaires tradotti da Antoine du Pinet.

1568

Prima edizione dei Discorsi in italiano con le figure “grandi” e migliorate, dedicata alla principessa Giovanna arciduchessa d’Austria. Alcune copie di questa edizione italiana del 1568 furono successivamente colorate a mano e miniate da qualche artista, tra i quali spicca Gherardo Cibo.

1569

Mattioli si sposa per la terza volta. Opusculum de Simplicium Medicamentorum Facultatibus di Mattioli. Nuova edizione dei Commentarii.

1570

Nuova edizione dei Commentarii.

1571

Compendium de Plantis Omnibus una cum Earum Iconibus di Mattioli. Mattioli va a vivere in ritiro a Innsbruck, essendo stato a Trento e a Verona.

1572

Prima edizione della traduzione di Jean des Moulins dei Commentaires, comprendente anche De la Maniere de Distiller les Eaux de Toutes Plantes, Et comment les naïves odeurs se peuvent conserver en icelles. Altra edizione della traduzione di Antoine du Pinet dei Commentaires.

1573

Ultima edizione probabile dei Discorsi in italiano stampata durante la vita di Mattioli. Del Modo di Distillare le Acque da Tutte le Piante di Mattioli, pubblicato in precedenza come appendice ai Discorsi.

1575

Nuova edizione dei Commentarii.

1578

(Anno 1577 ab incarnatione). Mattioli muore di peste in gennaio o febbraio durante una visita a Trento.

1579

Justus Mollerus pubblica a Basilea il Fasciculus Remediorum ex Dioscoride et Mathiolo. Prima edizione dei Commentaires in francese pubblicati dopo la morte di Mattioli.

1580

Gherardo Cibo riceve da Francesco Maria II della Rovere duca di Urbino una copia dei Discorsi di Mattioli del 1568 con l’incarico di colorarne le illustrazioni.

1581

Prima edizione dei Discorsi in italiano pubblicata dopo la morte di Mattioli.

1583

Seconda edizione dei Commentarii con le figure grandi.

1585

Seconda edizione dei Discorsi in italiano con le figure grandi.

1591

Annotationi, & Emendationi nella Tradottione dell’Eccell. P. Andrea Matthioli de Cinque Libri della Materia Medicinale di Dioscoride Anazarbeo di Antonio Pasini, sui presunti errori di traduzione fatti da Mattioli.

1597

Altra edizione dei Discorsi in italiano con le tavole “piccole”, dedicata “alla serenissima principessa Giovanna arciduchessa d’Austria”.

1598

Prima edizione delle opere complete di Mattioli in latino, pubblicata a Francoforte.

1604

Terza edizione dei Discorsi in italiano con le figure grandi.

1605

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1617

Ferdinando e Massimiliano, figli di Mattioli, fanno erigere un monumento in onore del padre nel duomo di Trento.

1619

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1620

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1621

Altra edizione dei Discorsi in italiano.

1627

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1642

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1645

Altra edizione dei Discorsi in italiano.

1655

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1674

Seconda edizione delle opere complete di Mattioli in latino, pubblicata a Basilea.

1680

Altra edizione dei Commentaires in francese.

1712

Altra edizione dei Discorsi in italiano.

1744

Altra edizione dei Discorsi in italiano.

Matthiola

Matthiola carnica - Violaciocca selvatica
foto di Luciano Gaudenzio

Il genere Matthiola, composta da piante erbacee della famiglia Crocifere o Brassicacee, comprende circa 50 specie spontanee delle regioni mediterranee, dell'Egitto e del Sudafrica, utilizzate nei bordi misti, in gruppi isolati, nelle aiuole, nelle roccaglie dei giardini rocciosi e anche nelle decorazioni dei balconi.

La diffusione di queste piante, che raggiunse l'apogeo nei secoli XVII e XVIII, è stata favorita dalla loro notevole rusticità. Esse possono essere annuali, biennali e perenni. Hanno fiori regolari, a 4 petali, per lo più rosa o lilla. Il genere comprende le seguenti specie che sono le più importanti:

Matthiola bicornis
Matthiola fruticulosa -
violaciocca minore
Matthiola incana - violaciocca d'inverno
Matthiola longipetala
Matthiola lunata
Matthiola maderensis
Matthiola maroccana
Matthiola odoratissima
Matthiola ovatifolia
Matthiola parviflora
Matthiola perennis
Matthiola sinuata
-violaciocca sinuata
Matthiola tricuspidata - violaciocca selvatica
Matthiola fruticulosa ssp. valesiaca - violaciocca alpina

Matthiola fruticulosa ssp. valesiaca - Violaciocca alpina
carrellata di Elio Corti - 1972


Matthiola incana - Violaciocca d'inverno

Dictionnaire historique
de la médecine ancienne et moderne

par Nicolas François Joseph Eloy
Mons – 1778




Dictionnaire encyclopédique
des sciences médicales
1864-1888




[1] The Wellcome Library copy of the 1544 edition cost an early owner, Pietro de Col Agordino, 14 Venetian Lire. (Chjeck Caius)

[2] Note his praise of these men (inter alios) in the Prologo to the 1544 Discorsi: il facondissimo Fraccastoro, il valentissimo Vesalio primo anatomista del mondo.

[3] His career was short, from 1542 to 1553; see Short Title Catalogue of Books printed in Italy and of Italian Books printed in other Countries from 1465 to 1600, London, British Museum, 1958, p. 770; Short Title Catalog of Books printed in Italy and of Books in Italian printed Abroad, 1501-1600, vol. 3, Boston, G. K. Hall and Co, 1970, p. 440.

[4] It should also be remembered that the illustrations in the 1554 edition were drastically changed in later editions.

[5] De morbis gallici curandi ratione dialogus, Bologna, 1530; Magno palazzo del cardinale di Trento, Venice, 1539.

[6] I am aware that each edition was different from its predecessors to a greater or lesser extent, but a view of the book at three distinct and important stages emphasises the very different qualities the work took on as it progressed.

[7] Frigimelica’s commentary, Oxford, Bodleian Library, Canonici lat. misc. 31, was delivered as lectures at Padua in 1530; that of Valerius Cordus was given first at Wittenberg in 1539/40.

[8] I have consulted this in the Medici Antiqui Omnes, Venice, sons of Aldus, 1547.

[9] P. Godman, From Poliziano to Machiavelli. Florentine Humanism in the High Renaissance, Princeton, Princeton University Press, 1998, pp. 209-234.

[10] He is inferior in learning to Poliziano and to Leoniceno, for example, and in botanical knowledge to Luca Ghini; but he is also superior to the former in botany and to the latter in academic scholarship.