di Fabrizio Focardi
Ai giudici si rimprovera spesso di non essere abbastanza tolleranti; ma quando, e in che misura, è ammessa la tolleranza?
Sia i giudici che gli allevatori si dovrebbero porre, a questo proposito, anche altre domande: a quali regole ci si deve attenere?, su quali razze e caratteristiche si può essere tolleranti?, ma soprattutto: è giusto essere tolleranti?, può essere controproducente?
Non è facile rispondere.
Posso comunque affermare, senza ombra di dubbio, che la sensibilità più o meno presente nel patrimonio genetico di ognuno di noi e l’esperienza personale hanno un ruolo primario nel giusto uso della tolleranza.
Questo argomento sta alla base di alcune discussioni che si sono verificate negli ultimi tempi fra giudici ed allevatori; è un argomento importante, da non sottovalutare, ma questo tipo di discussioni non sono un’esclusiva dell’Italia, come tanti possono credere: mi è infatti capitato più volte di imbattermi, leggendo riviste estere – Germania compresa -, in molti casi analoghi.
Credo purtroppo che l’uniformità dei giudizi sia ovunque di difficile soluzione. I giudici non sono macchine, e non è quindi possibile uniformare la loro mente; gli animal, dal canto loro, sono vivi, non imbalsamati: da una mostra all’altra, a causa di tanti fattori a cui sono sottoposti – stress, stanchezza, luce, ecc. -, il loro aspetto e la loro postura possono cambiare; anche voi vi sarete accorti che la mattina è molto più facile “metterli in posizione”, mentre alla sera, quando sono stanchi e frastornati, mal rispondono alle sollecitazioni del giudice.
Si può comunque migliorare la situazione prendendo atto, giudici ed allevatori, di alcune regole già presenti in quasi tutti i Libri Standard, compreso il nostro.
Prima di tutto è bene tenere presente che tollerare non significa ignorare: sul cartellino, quindi, il difetto deve essere sempre segnalato, a prescindere da quanto poi influirà sul giudizio finale.
Non è però giusto tollerare quello che, con solo un po’ di buona volontà da parte dell’allevatore, è facile evitare: sporcizia, presenza di acari sui tarsi o esposizione di soggetti non in condizioni idonee. Per idoneità s’intende un soggetto nella sua forma migliore di salute e di presentazione.
Non si può essere troppo tolleranti quando ad esempio il piumaggio non è completo, perché non è una caratteristica difficile da ottenere: basta far nascere i propri polli prima e curarli nella crescita affinché il piumaggio rimanga bello e pulito.
Presentazione a parte, tutto ciò che manca – per quanto riguarda la forma e la colorazione – ovviamente non è giudicabile né conoscibile: un bel gallo nero, ma senza coda, potrebbe “nascondere” una falciforme bianca (o una coda troppo rilevata), che non gli lascerebbero chance.
Può succedere ad esempio che, per ragioni atmosferiche – un’estate lunga e calda può essere a volte determinante -, il nostro miglior soggetto entri in muta: in questo caso si deve rinunciare a lui e portarne un altro, anche meno bello, perché avrà senz’altro più possibilità di avere un buon predicato.
Non si può assolutamente parlare di tolleranza in tutte le deformazioni scheletriche, in quanto, per queste, è prevista la squalifica. La causa di queste deformazioni è in genere genetica: occorre pertanto eliminare i soggetti in cui questi geni siano presenti; usandoli per la riproduzione, magari in consanguineità, si andrebbe inesorabilmente verso un aumento della percentuale dei soggetti portatori di questi difetti.
La più comune è la deviazione dello sterno: non è in vista e può essere individuata solo tramite la palpazione della carena. Lo sterno è un osso rettilineo, che però può presentare malformazioni come curvature o avvallamenti. La presenza di avvallamenti, più o meno pronunciati, può, secondo alcuni, derivare dall’insufficiente larghezza del posatoio, specialmente se usato in giovane età: in questo caso, personalmente (forse ingiustamente) sono, in presenza di una forma leggera, abbastanza tollerante perché propendo a credere alla causa ambientale; ma se la deformazione assume la forma a “S” è senz’altro frutto di un’influenza genetica, ed in questo caso non può esistere tolleranza.
Così affermava Knize (1983):
«(…) l’ereditarietà dello sterno deforme è di tipo dominante, e i fattori ambientali interagiscono con quello genetico. Il difetto può raggiungere anche, in forma diversa, l’80% della prole.»
Nel recente libro edito dall’E.E. “Standard delle Razze Avicole per l’Europa” così è riportato:
«Sterno: osso mediano del petto; la sua deformità a “S” è da considerarsi difetto da squalifica.»
Val la pena usare questi riproduttori? No! assolutamente. Se l’allevatore non ha fatto una selezione giusta deve essere il giudice, penalizzando con la squalifica il suo soggetto, a fargli capire la gravità del difetto, e mettere in guardia, qualora il soggetto fosse in vendita, l’eventuale acquirente.
Questo difetto può colpire il soggetto migliore – succede sempre così – e questo può contrariare l’allevatore; lo capisco benissimo: capita a tutti! Dispiace però ancora di più, essendo un difetto non visibile ad occhio nuvo, ma ugualmente grave.
Altri difetti che si incontrano più raramente – forse perché, essendo chiaramente visibili, creano uno spiacevole impatto che scoraggia l’esposizione – sono a carico del becco (becco incrociato, parte superiore o inferiore più corta), come pure a carico degli arti (zampa d’anatra, cioè con il dito posteriore che scende fino sotto il piede, e zampe ad “X”), delle dita (dita storte, che possono derivare sia da fattori ambientali – deficienza di riboflavina, affollamento nelle pulcinaie, pavimenti scivolosi – che genetici), della coda (portata storta), delle ali (a forbice) e del piumaggio (con malformazioni legate alla sua conformazione): tutti difetti sempre penalizzabili con la squalifica, anche se presenti purtroppo su un pollo con tutte le altre carte in regola.
Dorso di carpa e assenza della penna assiale, dove non espressamente richiesti, sono pure difetti da squalifica.
Nella colorazione i difetti assumono un’importanza assai minore, ma quando la causa del difetto è genetica la gravità aumenta, proprio per le stesse ragioni sopra esposte.
Spesso si tratta di geni recessivi che riappaiono solo quando presenti in duplice dose; per questo è bene non inserire mai nuovi soggetti nei propri gruppi riproduttori senza aver prima appurato quello che portano: si rischierebbe di rovinare il lavoro di tanti anni di buona selezione.
Proprio a causa di una mia analoga faciloneria selettiva, un allevatore, al quale ho dato in assoluta buona fede i miei riproduttori, ha avuto questo problema.
Senza peccare di presunzione posso dire che se oggi le razze italiane sono tornate alle nostre mostre, nella loro giusta veste morfologica e di colorazione, è anche per merito mio: per la campagna che da tanti anni porto avanti e per avere, in prima persona, fatto ricerche e scelto riproduttori idonei, cercandoli dove essi erano; e molti di voi ne hanno giustamente approfittato.
La prima razza è stata la Valdarno, poi l’Ancona e poi la Livorno.
Per l’Ancona ho incrociato un ceppo Olandese – con forma forse troppo longilinea – con dei miei soggetti sui quali lavoravo già da alcuni anni. Il risultato fu buono, ma, secondo me, mancava il peso e quella forma classica che vedevo nei miei vecchi libri e riviste.
Questa tipologia era invece presente nelle foto del Notiziario che l’amico Michael O’Connor – presidente dell’Ancona Club Australiano, purtroppo da poco scomparso – mi inviava. Era comunque un sogno poter avere i suoi soggetti: troppo lontano anche per l’invio di uova. Mi ero quindi già messo l’animo in pace, quando invece Bernhard Hanskamp, presidente dell’Ancona Club Olandese – che ho fatto conoscere anche ad alcuni di voi – mi informò che sarebbe andato, per il suo anniversario di matrimonio, in Australia e avrebbe portato uova delle Ancona che da tempo ambedue desideravamo: un sogno sarebbe diventato realtà.
Le uova di Ancona australiana arrivarono in Olanda e l’anno successivo, grazie all’estrema gentilezza di Bernhard, mi arrivarono riproduttori australiani: belli, con buona tipologia, un bellissimo colore e disegno; solo la cresta di qualche femmina, molto grande, aveva nella parte anteriore una leggera forma ad “S”: un difetto che con la selezione speravo di correggere. Per il resto erano perfetti.
Riprodussi con loro una sola volta, e il risultato fu molto buono: colore, disegno e forma molto migliorati . Poi, per mancanza di tempo, dovetti rinunciare alla razza, senza prima però cercare di sistemare i miei riproduttori da un buon allevatore, che mi desse fiducia per la sua serietà.
Ho avuto molti contatti con questo allevatore e, in uno dei tanti, dopo aver riprodotto le mie Ancona, mi ha informato che i soggetti australiani erano evidentemente portatori recessivi di rosso nella mantellina e nelle copritrici delle ali. Una cosa di cui non avevo avuto tempo di accorgermi.
Un bel problema! Stava però a lui, con la selezione, scongiurare che questo difetto dilagasse; ma stava anche al giudice, qualora si fosse imbattuto in un soggetto del genere, penalizzarlo senza tolleranza.
Abbiamo definito i casi in cui non è possibile essere tolleranti. Esistono però casi in cui, a seconda di diversi fattori, è giusto esserlo, anche se non sempre in ugual misura.
Il grado di tolleranza non è purtroppo quantificabile con una tabella: varia per ogni razza e per ogni caratteristica di ognuna di esse; non è giusto equiparare, per ovvie ragioni numeriche, una Wyandotte Nana ad una Polverara, ma nemmeno, per ovvie ragioni fenotipiche, una Livorno ad un Combattente.
Questo complica enormemente il lavoro dei giudici, specialmente quando, come in Italia, non esistano giudici di categoria.
Un giudice deve oltretutto capire quando un allevatore non si limiti a far nascere pulcini da riproduttori, magari comprati all’estero, ma esegua invece un lavoro di selezione per migliorare i propri soggetti e ritrovare caratteristiche perdute.
Si può essere indulgenti quando, in una razza rara, la tolleranza di un piccolo difetto aiuti l’allevatore ad ottenere una migliore selezione; o si può esserlo nei confronti di una certa caratteristica che richieda maggiori sforzi per essere ottenuta, come, ad esempio, la cresta a coppa della Siciliana.
Nei riguardi di una nuova selezione, o con la riselezione di una razza estinta, il giudice, oltre che essere tollerante, deve usare la sua esperienza per dare buoni consigli ed incoraggiare l’allevatore a proseguire, specialmente quando deve farlo in proprio, senza la possibilità di reperire altrove riproduttori.
Come ho detto, ogni caso resta comunque un caso a parte. Ad esempio, nella Orpington sono caratteristiche peculiari la forma, il piumaggio e la posizione, mentre minore importanza hanno alcuni punti della testa come la cresta o i bargigli (ma non la testa stessa, che deve avere la classica forma arrotondata con cranio largo): si potrà quindi sorvolare su una cresta con un taglio non perfetto, ma questo, sia ben chiaro, non significa giustificare un doppio dente; ad un gallo adulto si possono perdonare dei bargigli un po’ troppo sviluppati, ma non la presenza di pieghe orizzontali o verticali.
Nelle razze con tipologia mediterranea i punti della testa diventano invece caratteristica peculiare, pertanto assumono un’importanza che non permette molta tolleranza.
La tolleranza, nel nostro hobby, è un’arma a doppio taglio: non deve mai essere esagerata, ma va somministrata sempre nella dose giusta.
Se troppa, va indubbiamente a discapito della futura selezione. Conosco bene i nostri allevatori: ormai sono quasi venti anni che vedo i loro polli; ad alcuni il predicato interessa solo in vista della vendita, e non viene considerato in quanto consiglio per migliorare, se necessario, la selezione. Quando fu fondata la FIAV, le solite “Cassandre” prevedevano una vita di stenti per la nostra avicoltura; io ero invece fra gli ottimisti e credevo che gli allevatori italiani sarebbero cresciuti e maturati, capendo lo scopo del nostro hobby.
Oggi purtroppo ho perso molto del mio ottimismo e non credo che l’avicoltura italiana raggiungerà mai il livello degli altri Paesi.
Manca il senso di responsabilità, la voglia di migliorare: ancora molti non hanno capito il significato di “mostra” e di “Campionati Italiani”.
In tutte le altre categorie (conigli, colombi e uccellini) la situazione è assai migliore della nostra.
Io allevo anche Agapornis e so che se presentassi un soggetto a cui mancasse anche una sola remigante o timoniera, ciò influirebbe assai negativamente sul giudizio: di conseguenza non lo presento. Oltre a questo, alle mostre di uccellini i soggetti a concorso non sono in vendita: chi iscrive i suoi soggetti li iscrive solo perché vengano giudicati, e non crediate che anche lì non ci siano discussioni!
Ce ne sono eccome, ma gli animali vengono comunque esposti e le discussioni possono essere le più svariate, ma non si discute mai sulla presentazione: quella è data per scontata.
Eccedendo in tolleranza si corre il rischio di invogliare, nella nostra situazione attuale, a non migliorare; e questo va senz’altro evitato.
La tolleranza non deve però solo esistere nel giudizio dei nostri polli, ma anche nei rapporti con i propri simili: è spesso invocata nella speranza di riequilibrare le sorti del mondo. Tentiamo anche noi, allora, con un po’ di buona volontà, a dare un equilibrio giusto al nostro hobby.
Proprio oggi, 10/01/2007, ad articolo già finito, ricevo il notiziario dello “Asian Hardfeather Club” di dicembre 2006: si tratta del notiziario del club inglese dei combattenti asiatici che Julia Keeling, segretaria, gentilmente sempre mi invia. Julia è uno dei migliori giudici europei per le razze combattenti, e la nostra amicizia è nata proprio in occasione dei lavori per la divisione in due categorie della razza Shamo.
Sul notiziario leggo un articolo che, guarda un po’, tratta più o meno lo stesso mio argomento e con piacere qui lo riporto tradotto integralmente:
Fabrizio Focardi
Non Biasimate il Giudice
di Julia Keeling
« Quante volte tutti noi abbiamo sentito dire: “Quel giudice non sa riconoscere un bel soggetto”.
Quando esponiamo un animale ad una mostra avicola, tutto ciò che apprendiamo è quale tipologia piace a quel giudice, sia che si tratti di un Kulang che di un piccolo Ko-Shamo.
A qualsiasi mostra quello che riceviamo è l’opinione del giudice.
Gli standard esistono e stanno lì per essere studiati da tutti, ma ognuno può dargli un’interpretazione personale.
Se non siamo d’accordo con il giudizio di un giudice e sulla tipologia da lui preferita, si può non esporre quando lui giudicherà.
Se il giudizio positivo di un giudice è coerente con l’animale che lo riceve tutto è Ok, ma se i buoni giudizi sono riservati solo ai suoi amici allora lasciate lui ai propri amici e i vostri animali a casa.
Nel corso degli anni ho esposto davanti a un gran numero di persone diverse e posso dire che oggi il giudizio è molto più giusto di quanto non lo fosse in passato.
I vecchi espositori professionisti sono scomparsi e adesso, quasi sempre, è l’animale che riesce a piazzarsi e non il suo proprietario.
A ogni mostra noi riceviamo l’opinione del giudice relativa esclusivamente a quel giorno e a quel momento, né più né meno. In effetti un giudice cha ha un’opinione diversa dalla vostra può essere positivo: ciò dà la possibilità ad ognuno di ricevere un buon giudizio. Per il nostro animale non possiamo chiedere nulla di più di una onesta opinione in quel giorno. »