di Fabrizio Focardi

Ho intenzione, e spero di farvi cosa gradita, pubblicare in futuro alcuni articoli di Teodoro Pascal.
Alcuni li avete già letti nei passati Notiziari, credo pertanto bene che sappiate qualcosa di più su chi li ha scritti.

Teodoro Pascal è stato per me un grande dell’avicoltura italiana, insieme a tanti altri sì è vero, ma lui ha saputo trasmettere nei suoi articoli tutta la sua passione, e oggi, a distanza di tanti anni, si ha la sensazione che il suo carattere critico e la sua sincerità abbiano influito a realizzare un’avicoltura migliore.

Qui di seguito alcune parole di chi l’ha conosciuto:


C.A. Gonin (altro autorevole scrittore di libri avicoli)

Dire di lui come allevatore è quanto celebrare, come lo merita, uno dei primi e dei migliori d’Italia; egli fu milite glorioso di quel manipoli di pionieri…
I suoi magnifici polli Langshan, alla qual razza aveva consacrato le cure più intelligenti, le sue stupende galline Maggi e le meravigliose anatre muschiate testimoniavano dell’amore dello studio di quel vero avicultore che era Pascal.
È un grande benemerito, un vero cavaliere del lavoro intellettuale, il principe dei letterati avicoli italiani al quale voglia il destino concedere lunghi anni di vita per la fortuna del nostro Paese.


Concetto Battiato (direttore della Casa Editrice Battiato)

Io considero Teodoro Pascal come un vivente autore classico della nostra Avicoltura. Il pubblico attribuisce ai suoi scritti un assoluto valore scientifico e pratico nello stesso tempo. E non si sbaglia.


Pubblico qui il suo primo articolo, in cui parla dell’inizio della sua passione, mi è piaciuto, e penso che tanti di noi abbiano avuto un inizio avicolo, anche se in maniera meno poetica, simile al suo: amore per gli animali e la natura in genere.
Proseguendo nella lettura si conosce quella che era in Italia l’avicoltura ai suoi albori: molto commerciale, ma fatta con passione ed in alcuni casi anche con una certa dose di illusione.

E se oggi possiamo divertirci col nostro hobby questo lo dobbiamo anche a persone come Teodoro Pascal.


Da: Pagine Sparse d’Avicoltura di Teodoro Pascal
Art. 1 dalla “Rivista degli Allevatori” di Genova

Acqua Passata (Reminescenze d’Avicoltura)

In una tiepida notte di giugno, in epoca ben lontana, contemplavo la luna piena che colla sua luce diffusa fugava le stelle e si riverberava in un ridente specchio d’acqua, affogandovi dentro, a circa un metro dalla superficie, leggermente increspata dall’alito profumato d’un dolce zeffiro primaverile, Quell’immagine riflessa della luna oscillava lentamente al ritmo del moto delle increspature galleggianti sullo specchio d’acqua.

Un maestoso Cigno reale, il cui candido mantello era reso d’argento dai riflessi lunari, si cullava pigro nell’acqua, lasciandosi trasportare in voluttuoso abbandono alla deriva nella scia luminosa di perle che lasciava dietro di se. Giunto alla portata della riflessa immagine lunare si tuffò nel liquido elemento alzando il massiccio e voluminoso corpo in posizione verticale, con la testa in giù e lasciando al di fuori dell’acqua la parte posteriore impudicamente; la manteneva in equilibrio labile con abilità di clown da circo equestre. Il becco di ceralacca sbiadita, che robusto spuntava nel mezzo delle guance, guazzava nel riflesso disco lunare, intrufolandosi dentro e spappolandolo come pastone di cui pareva nutrirsi.

Affascinato da quella suggestiva avventura a base di luna riflessa, sognai ad occhi aperti d’essere io il cigno ed ad occhi chiusi mi trovai fra le braccia della mia Leda che avevo scovata in uno spiazzale adiacente allo specchio d’acqua. Quivi s’allineavano, a debita distanza l’uno dall’altro, numerosi pollai smontabili di legno, sollevati ognuno dal suolo da quattro trampoli sui quali erano saldamente assicurati. Sembravano capanne lacustre fermate su palafitte, ma si vegliava in quelle capanne, giacchè ne uscivano, nel silenzio della notte, suoni aspri, rauchi e cavernosi e alternati da strilli tenorili: era il coro dei galli che teneva concerto. Da quel momento non abbandonai più Leda e l’amai con passione, ma timoroso della vendetta di Giove, le cambiai nome, la chiamai Avicoltura. Così divenni allevatore e scrittore.

Parevami un tempo maniaca passione l’Avicoltura, ma poi, praticandola e percorrendone l’intricati meandri di sua produttività, ebbi la sensazione di essermi smarrito in un immenso laboratorio chimico che forniva, a getto continuo: albumina, sostanze grasse, glutine, calce ossia uova – azoto, acido fosforico, potassa, ossia pollina – fibrina, gelatina, caseina, ossia carne – sostanze cornee, ossia piume. Un autentico paese di cuccagna quel laboratorio immenso, costituito dai campi, ove lieti scorrazzavano polli, oche, faraone, tacchini e dalla brezza trasparente che il volo dei colombi offuscava, nonché dall’acquitrino, soggiorno e ristoro dell’anatra garrula e vorace.

Tesori opulenti di sostanze organiche concentrate in tutti quei piccoli essere pennuti a beneficio della specie umana che sempre sfruttò nel corso dei secoli. Blando ed irrazionale nei tempi che furono, efficacissimo nel prosieguo, lo sfruttamento prese il nome di avicoltura nello scibile umano, ciò avveniva verso la metà del secolo scorso (XIX sec.). E divenne col crescere degli anni, arte suprema l’Avicoltura, al punto che qualche fanatico usò elevarla a scienza: puerile pretesa, confusione di attributi, null’altro, l’Avicoltura non è una scienza a sé, bensì applicazione tecnica della scienza zoologica, è infine una branca della zootecnica.
L’Avicoltura attrasse nella sua orbita cultori insigni che la glorificarono, la resero popolare e diffusa in tutti i paesi civili quale fonte di benessere economico: furono quelli gli apostoli illuminati e coscienziosi, ma purtroppo ad essi si contrapposero in breve legioni di disonesti, che atteggiandosi a coribanti della Dea feconda, la prostituirono del tutto agli occhi dei profani. Costoro, ad istigazione di quelli, ravvisarono nell’Avicoltura “la Gran Madre fecondatrice della Ricchezza Universale” come i Greci antichi di Rea Cibale, quella della “Vita universale”. Finita la festa gabbato il Santo! E tutti quei Santi… gabbati, colle tasche alleggeriti a beneficio di quei furfanti, imprecarono alla Dea infeconda, proprio essi che da quelli s’erano lasciati stroncare nella virilità e che non potevano più fecondare la bella Dea.

Impotenti capponi della specie umana, anziché inveire contro i loro eviratori, se la presero coll’Avicoltura, condannandola come cimbraccola improduttiva.
Chi scrive visse in quell’epoca di bassa speculazione che aveva un solo ideale, l’inganno; lestofanti del mestiere prospettarono ai gonzi favolosi progetti d’impianto, incassi mirabolanti, utili dal 50 al 100 per cento sul capitale impiegato.
I merli, e non furono pochi, incapparono nella pania di quelle illusioni, si lasciarono allegramente spennare, cullandosi nella dolce e promettente illusione di una prossima ricchezza, ma l’indomani si svegliarono più poveri di prima. Tutti i loro sudati risparmi erano stati ingoiati nella voragine delle spese d’impianto e dagli acquisti di derrate alimentari. Alla prova dei fatti si constatò che non vi era convenienza a trasformare le granaglie, le farine, i tuberi, ecc. in uova, piume, pollina e carne nelle condizioni normali in cui era sorta l’industria e si constatò eziandio che i lestofanti si erano arricchiti, fornendo impianti e derrate a suon di grancassa e di piattini, araldi di strepitosa e menzognera pubblicità.

Un paradosso mi spunta a fior di labbra: non esito a sentenziare che il fenomeno lestofantico ora enunciato fu un bene e non un male. Brevi tratti di penna basteranno a menomare il paradosso, ed identificarlo come logica contingenza:
I lestofanti trionfanti trionfarono per breve lasso di tempo, incalzati dalla reazione degli onesti e debellati. La stampa avicola del tempo , e qui potrei far nomi di scrittori, che lascio nella penna per ragioni ovvie, intraprese una coraggiosa crociata, dando rilievo a tutte le ciurmerie di quei messeri ed affondando così il bisturi risanatore nel corpo piegato dell’Avicoltura. Rinacque la Dea fecondatrice di ricchezza a nuova vita e gli iniziati al suo culto crebbero numerosi, attirando nelle loro fila non pochi sbandati, non pochi disillusi dell’antico regime dei lestofanti. Trionfava la reazione su tutta la linea e quel trionfo mai venne meno sin’oggi. La lue lestofantica svaniva nelle nebbie di un triste passato, soffiato via dalla nuova vigorosa corrente rigeneratrice: analogia strana coll’attuale momento politico italiano.

Novello Teseo, l’allevatore sorto in seguito, liberò l’Avicoltura dal letto di Procuste, ove le malefatte dei lestofanti l’avevano sprofondata, purtuttavia lo stesso, non sempre seppe proteggerla contro le avversioni che ispirava tuttora il suo passato. Gli è che diversi allevatori, anche alcuni che andavano per la maggiore, avendo smarrito il senso della realtà, si abbandonano ai sogni e da quelli crearono fantasmi.
Caddero nell’esagerazione, spinta al parossismo precisamente come i lestofanti una volta, e fu certo in buona fede, ma caddero. È ovvio ricordare che l’Avicoltura anche questa volta ebbe a scapitarne nel suo progredire, ma poiché esulava dalla mente dei sognatori l’inganno, gli stessi non ad altri allevatori rovesciarono la cura dell’esperimento, la praticarono invece personalmente. E fu l’ecatombe, il disastro di aziende rilevanti che s’erano costituite su fragili basi: esempii a dozzine potrei citare, ma anche ora li lascio nella penna.

Il paradosso, mi tenta un’altra volta e dirò ancora, come allora, il fenomeno fu un bene, non un male, e soggiungerò che debbo ricorrere nuovamente a brevi tratti di penna per assorbire il paradosso nell’esponente della logica:
Ai lestofanti di un tempo ed ai caduti in buna fede che seguirono, successe la nuova generazione, ammaestrata dalla eloquenza dei fatti, resa perciò diffidente, ma anche riflessiva sull’accaduto. La riflessione conduce appunto a cercare, a vagliare l’entità della diffidenza, a valutare infine quanto vi è in essa di ponderabile e di inesistente e raggiunge di conseguenza una equilibrata percezione delle cose. Difatti l’Avicoltura si è ora incamminata per la dritta via, non più contaminata dall’amplesso dei lestofanti e non soggiacendo più nemmeno a quella dei sognatori che spesso la resero madre di fantasmi invece che di realtà. L’Avicoltura attuale infine, edificata col materiale valido del passato, ricavato dopo opportuna cernita dal cattivo, si è consolidata in edificio stabile e duraturo, sede di produzione feconda come pure d’insegnamento pratico e dottrinale.
Merito intrinseco dunque di tanto successo, seguito da tanto oscillare dei venti, all’Avicoltura moderna, che edotta di un passato disastroso, ha saputo trovare la buona strada del successo. Ma anche il Fato vi ha la sua influenza, il Nume onnipotente a cui sottostava tutta un’Eletta di Dei nell’Olimpo, finanche il potentissimo Giove. Gli eventi maturati per lo passato in veste di Araldi annunziatori di ricchezza si sono riverberati in luce serena negli attuali ambienti d’allevamento, non più bagliori accecanti di sogni luminosi, non più lusinghe di ricchezze fantastiche, bensì onesta prospettiva di tornaconto personale, di non iperbolici utili, ma adeguatamente remunerativi. Tutto ciò come logica conseguenza di un passato eccezionalmente caotico e paradossale, che per forza di cose dovrà rientrare nelle sfere della normalità, precisamente come alle rivoluzioni violente succede inevitabilmente uno stabile assetto della compagine sociale. Ma è poi lo stato attuale dell’Avicoltura totalmente normale? Santi Numi, non è certo tutto oro di coppella, i ciurmatori, gli eunuchi, i sognatori non mancheranno mai nelle manifestazioni dello scibile, quindi nemmeno nell’Avicoltura, ma certo si è che per lo passato trattatasi di una vera invasione di quella gente, elevata a sistema nel campo dell’Avicoltura. Ne doveva perciò seguire la reazione epurativa e gli allevatori moderni sono appunto la REAZIONE. Gli eventi attraversati dall’Avicoltura in oltre un cinquantennio mi si sono affacciati alla memoria e li ho riassunti nei loro capisaldi.

Acqua passata! Eventi sfumati nel solco del tempo! Mi sono ricordato! Chi è vecchio ricorda volentieri, specie i sogni, ed il sono il vecchio che sognò senza crear fantasmi: lo dicano i miei cortesi lettori.